1974. Un anno emblematico, denso di avvenimenti le cui conseguenze si sarebbero sentite per molto tempo. Un anno cominciato… due mesi prima, nell’ottobre del 1973, con la guerra arabo–israeliana del Kippur. Immediata conseguenza fu il repentino aumento del prezzo del petrolio, che si innestava in uno scenario già recessivo europeo e italiano in particolare. Un sottofondo non certo ideale per lanciare automobili di categoria superiore, e infatti in quegli anni molte vetture, anche valide, furono penalizzate pesantemente da questa situazione. Basti citare la Fiat 130, le Alfa Romeo Montreal e Alfa 6, la Lancia Gamma in Italia, ma anche le grosse Peugeot e Renault con motori a sei cilindri, le Nsu RO80 e molte coupé sportive ad alte prestazioni. Vetture spesso eccellenti, ma nate in un periodo difficile tanto da arrivare a mettere in dubbio la sopravvivenza stessa delle rispettive Case costruttrici.
In questa situazione veniva a maturazione un progetto già da tempo presente negli uffici studi della Citroën. La Casa francese era stata protagonista di una storia tanto innovativa quanto tormentata, caratterizzata da notevoli innovazioni tecniche ma lacunose politiche produttive e commerciali. L’immagine del marchio era ottima, ma nell’azienda non mancavano certo i problemi: alla tecnologia raffinatissima facevano da contraltare impianti di produzione obsoleti; da una parte elevata competenza meccanica, dall’altra una gamma composta in pratica da due auto. Di cui una, la 2CV, prodotta con margini risicatissimi mentre l’altra, la ID / DS, ben più costosa per il cliente ma anche per la produzione. Al centro di questa galassia, Flaminio Bertoni e André Lefèbvre si dividevano lo stile e la tecnica di tutte le realizzazioni Citroën, forti dell’esperienza e una personalità autorevoli e coinvolgenti. La Casa francese, forte delle esperienze belliche, si caratterizzava per numerose raffinatezze costruttive. Molti progettisti avevano formazione e competenze aeronautiche, i macchinari stessi di produzione derivavano spesso dall’industria del volo, e l’organizzazione della produzione era più simile a quella di un’industria artigianale che a quella di un prodotto di grande serie. In più, l’incessante attività di ricerca di raffinate soluzioni tecniche rendeva intrinsecamente costose tutte le attività Citroën.
Con il risultato che i vertici della Casa erano spesso impegnati nel cercare finanziamenti dal sistema creditizio francese o nello sfruttare i programmi governativi per il decentramento industriale. In tutto questo, gli anni ‘60 si erano distinti per varie acquisizioni, che avevano ulteriormente prosciugato le già traballanti finanze della Casa. Per rafforzare la struttura commerciale era stata assorbita la Panhard nel 1965, dal 1967 la Berliet aveva la mission della produzione di veicoli commerciali, per sfondare nell’alto di gamma si era concretizzato nel 1968 l’accordo con la Maserati... Con spese ovviamente significative, che si sommavano a quelle necessarie per sperimentazioni innovative ma costose, come la società formata nel 1963 insieme alla NSU per la sperimentazione del motore Wankel che portò alla produzione di un piccolo lotto delle raffinate ma fragili GS e della coupé M35. Con un’emorragia di costi facilmente immaginabile.
A tanto attivismo non corrispondeva un’altrettanto vivace situazione finanziaria, tanto che la famiglia Michelin, proprietaria della Casa dal 1934, non nascondeva il proposito di metterla sul mercato. Svaniti gli accordi con Fiat (anche per il rifiuto da parte del generale De Gaulle), sarà infine la Peugeot, proprio nel 1975, ad assorbire la Citroën, dando corpo a quel Gruppo PSA che ancor oggi, insieme a Renault, rappresenta la Francia sul mercato dell’automobile.